Perchè la certificazione CVT per calcestruzzi preconfezionati fibrorinforzati è sbagliata | Articoli | Ingenio

2022-12-29 12:31:55 By : Mr. Samuel Shi

Dal 2018 ad oggi una sola ricetta certificata per gli FRC, e forse mai prodotta. Perchè ? forse le regole sono sbagliate ? Ecco la mia analisi tencica del problema.

Dal 2018 ad oggi una sola ricetta certificata per gli FRC, e forse mai prodotta. Perchè ? forse le regole sono sbagliate ? Ecco la mia analisi tencica del problema.

Il CVT è una soluzione utile per il mercato e per la garanzia della sicurezza delle opere nel mondo delle costruzioni. Nascono infatti come "supporto normativo" nazionale per consentire l'immissione nel mercato di prodotti e tecnologie non regolamentate nelle NTC e che, altrimenti, dovrebbero seguire percorsi di certificazione internazionale più lunghi e onerosi per essere utilizzate.

Era la metà di luglio del 2018 quando il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha pubblicato il documento "Procedure seguite per la richiesta ed il rilascio di Certificati di Valutazione Tecnica (CVT) per sistemi o kit ricadenti nell'applicazione del Cap. 11, punto 11.1 caso C) del DM 17 gennaio 2018, Norme Tecniche per le Costruzioni", predisposte dalla Divisione Tecnica 2 del Servizio Tecnico Centrale.

Il documento - sottolinea il CSLLPP - costituisce un semplice atto di informazione e indirizzo, nell'ottica dell'ottimizzazione dell'attività amministrativa e del dialogo continuo con gli operatori esterni. Nello specifico:

In estrema sintesi, si parte dal presupposto che ogni società che intenda commercializzare un prodotto, sistema o kit (cd "Fabbricante") ed ottenere la certificazione di cui trattasi, presenta al STC (Divisione 2^)  una apposita istanza, con la chiara indicazione dei prodotti che intende qualificare. Dopo di che spetterà al Servizio Tecnico Centrale effettuare le analisi della documentazione e si avvia quindi l'iter che porta, in caso positivo, al rilascio del Certificato di Valutazione Tecnica.

Il processo di certificazione di ogni prodotto si basa su due documenti predisposti dal Consiglio Superiore dei LLPP: le linee guida per la qualifica dei materiali e quelle per la progettazione.

Queste linee guida vengono predisposte da commissioni ad hoc, composte da funzionari del Ministero e figure accademiche.

In genere la predisposizione dei queste Linee Guida dura due/tre anni (al momento circa la metà dei prodotti da costruzione per cui è prevista hanno linee guida pronte) e questo è un problema perchè così si rallenta il percorso di adozione di innovazioni a volte utili. Ma di questo ho già parlato in altri articoli.

Oggi tornerò a parlare dell'applicazione del CVT di uno specifico prodotto: i calcestruzzi fibrorinforzati, riassunti con l'acronimo FRC.

I calcestruzzi e le malte fibrorinforzzate in genere sono prodotte secondo 4 processi diversi.

2. In impianto  di prefabbricazione

3. In cantiere per conci o strutture prefabbricate

4. In impianti di calcestruzzo preconfezionato.

Il Consiglio Superiore dei LLPP ha pubblicato con il DM 17/1/2018 la prima revisione delle Linea guida per l’identificazione, la qualificazione, la certificazione di valutazione tecnica ed il controllo di accettazione dei calcestruzzi fibrorinforzati FRC (Fiber Reinforced Concrete). Il documento era indubbiamente malfatto, non richiamava alcune aree di produzione (prefabbricazione), non prevedeva la possibilità di aggiornare le ricette in caso di variazione delle proprietà delle materie prima, ... insomma era di difficile applicazione in molti contesti e a mio parere lontano dalla realtà del cantiere. Con l'aggiornamento del novembre 2021, approvate il 12 gennaio 2022 molti problemi delle linee guida sono stati risolti e la loro applicazione è attinente ad alcune esigenze concrete ed ineludibili. Ne ho già parlato in un recente articolo.

Ma c'è ancora un problema da affrontare ... le Linee Guida non sono adatte per la qualifica degli FRC preconfezionati.

Non perchè il processo di produzione del calcestruzzo preconfezionato abbia minori controlli o sia di minore qualità rispetto agli altri casi, ma per un problema a mio problema insuperabile collegato all'uso di questi calcestruzzi e che porta ogni impianto a dovere avere centinaia di ricette qualificate.

Fabio Croccolo, Consiglio SUperiore LLPP: le Associazioni devono partecipare al processo normativo

La norma UNI EN 206-1 già ci dà una indicazione di come il numero di ricette che un impianto di betonaggio deve essere in grado di produrre sia numeroso. Abbiamo diverse classi di consistenza, di resistenza, di durabilità, per diverse dimensioni dell'aggregato grosso. Ma questo non basta. C'è l'estate, un cui i tempi di presa e indurimento si riducono, e quindi è necessario modificare le ricette. Ma non basta, vi è anche un problema di maturazione e di ritiro, e questo porta in alcuni periodi particolarmente caldi ad ulteriori interventi. Poi c'è l'inverno, in cui questi tempi non solo aumentano, ma ci sono momenti della giornata in cui la temperatura scende sotto lo zero, con inevitabili conseguenze. E anche questo porta a modificare le ricette. Poi ci sono da considerare le modalità di getto: un calcestruzzo che deve essere pompato (oggi circa il 65/70% della produzione è pompato) deve essere un po' più grasso di un calcestruzzo ordinario. E poi ci sono i problemi di cantierizzazione, che possono richiedere calcestruzzi autocompattanti e autopiazzanti. E poi ci sono le diverse tipologie di opere: per esempio una fondazione monolitica avrà problemi di sviluppo di calore, un telaio ad alte prestazioni avrà problemi di scorrimento, una cordolo stradale avrà un problema di tempi di getto .. Insomma, il numero di ricette è praticamente infinito e non a caso le aziende più avanzate si sono dotate di un sistema digitale di progettazione dinamica delle ricette che consenta di fornire il prodotto che risponde ai tanti requisiti espressi o impliciti dello specifico cantiere.

Schematizzazione (estremamente semplificata) del processo di qualifica delle ricette di un impianto di betonaggio

In un contesto di questo genere appare chiaro come sia difficile applicare una norma che preveda una qualifica - onerosa intermini di tempi e costi - di una serie di prodotti speciali, che rappresentano oggi circa complessivamente meno del 2% della produzione del calcestruzzo, con il rischio che quelli certificati in realtà non siano mai richiesti e, paradossalmente, poi il mercato possa richiederne qualcuno con caratteristiche diverse.

Ho provato con un amico, professore di tecnica delle costruzioni, ad affrontare il problema non ragionando come normatori ma come utente.

Abbiamo fatto l'ipotesi che fosse direttore lavori e collaudatore dell'opera. In questo caso, il suo interesse principale è che l'opera realizzata sia sicura. Lo chiameremo gui il Prof. CONCRETO.

Gli ho presentato così due casi.

Mettiamo che il produttore decida di qualificare una ricetta di FRC con una certa tenacità, resistenza meccanica, consistenza, classe di esposizione e una definita fibra.

A questo punto partirà il processo interno di studio del mix design, con prove e confronto fra varie soluzioni di fibre proposte dal mercato, dosaggi di cemento, curve degli inerti ... fino ad arrivare alla qualifica della ricetta interna. Dopo di che vengono prodotti e mandati i travetti al laboratorio autorizzato, che romperà i travetti con personale e macchine idonee, sulla base delle quali emetterà il certificato di prova. L'azienda a questo punto predisporrà il fascilo come previsto dalle norme, lo manderà al Servizio Tecnico Centrale, che dovrà analizzarlo e valutarlo. In genere, abbiamo osservato dalle esperienze pregresse, il Servizio Centrale poi chiede qualche approfondimeto e a volte qualche ulteriore prova. L'azienda riproduce la ricetta, la riverifica (nel frattempo il cemento, gli inerti, ... qualcosa potrebbe essere cambiato), rifà i travetti, li manda al laboratorio autorizzato, che dopo 28 giorni li rompe, così csi completa il ciclo di prove, viene aggiornato il fascicolo, quindi reinviato al Servizio Tecnico Centrale che deve riesaminarlo, e se le valutazioni sono positive viene emesso il CVT. A questo punto il produttore deve riverificare la ricetta (è passato altro tempo), deve metterla neei software di produzione, deve aggiornare i commerciali e metterla a listino ... finchè un commerciale, per pura fortuna, lo propone il giorno dopo che è stato completato questo processo al cantiere dove opera il prof. CONCRETO che lo ordina subito.

Il processo ha richiesto dai 22 ai 26 mesi complessivamente, e abbiamo avuto la fortuna che il prof. CONCRETO avesse chiesto proprio quella ricetta, altrimenti ... FTM.

Di seguito la schematizzazione di tutto il processo appena descritto.

Schematizzazione del processo che porta al CVT del FRC 

Nella seconda ipotesi che ho presentato al Prof. CONCRETO si segue un altro processo.

Il Cliente chiede un FRC con specifiche caratteristiche e prestazioni sulla base delle indicazione del progettista. Il produttore di calcestruzzo, che ha già l'FPC, valuta anche il tipo di opera, il periodo di getto (temperature, vento, insolazione), la durata del trasporto, le modalità di posa in opera, il tipo di maturazione ... e quindi progetta una ricetta ad hoc che qualifica con un laboratorio ufficiale. Completata la qualifica manda il certificato al Servizio Tecnico Centrale che lo protocolla. Da quel momento il calcestruzzo è utilizzabile. Sono passati massimo due mesi.

Faccio notare al nostro lettore - così come ho fatto notare al prof. Concreto - che a parte la burocrazia normativa le prove fatte sono le stesse.

Anche in questo caso ho schematizzato il processo.

Schema del processo di prequalifica del FRC

Come scrissi in una recente intervista rilasciata ad Andrea Dari, sono ancora oggi trascurate e minimizzate le potenzialità dei calcestruzzi fibrorinforzati, cosiddetti FRC (Fiber Reinforced Concrete).

Le nuove NTC2018, al capitolo 11 relativo ai materiali per uso strutturale, citano per la prima volta il calcestruzzo fibrorinforzato.  Si tratta di un calcestruzzo rinforzato dall’aggiunta discreta di fibre in acciaio o in polipropilene. 

E’ stata pertanto introdotta una disciplina più specifica per l’uso dei calcestruzzi fibrorinforzati. Infatti, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (CSLP), dopo l’emanazione delle linee guida sugli FRP (Fiber Reinforced Polymer) e delle linee guida sugli FRCM (Fiber Reinforced Cementitious Matrix), ha approvato le Linee Guida per l’identificazione, la qualificazione, la certificazione di valutazione tecnica ed il controllo di accettazione dei calcestruzzi fibrorinforzati (decreto n. 208/2019) introducendo l’obbligo del Certificato di Valutazione Tecnica (CVT) per ciascuna miscela di calcestruzzo fibrorinforzato. Ebbene, visti i contenuti delle suddette Linee Guida e valutate le problematiche riscontrate in fase di elaborazione della relativa documentazione, si spera in una semplificazione della procedura per l’acquisizione del CVT, sia per agevolare le centrali di betonaggio alla fornitura di miscele in FRC in tempi ragionevoli, sia per ridurre i costi (in capo all’Azienda) per l’ottenimento della relativa certificazione.

Tale argomento sarà oggetto di approfondimento e confronto tra esperti presso l’evento SAIE InCalcestruzzo in programma ad ottobre 2022 a Bologna (https://www.saiebologna.it/it/in-calcestruzzo/).

A questo punto ho fatto la domanda diretta al prof. CONCRETO: "quale dei due processi a te, che sei direttore dei lavori e collaudatore, ti da la maggiore tranquillità sulla sicurezza ?"

e lui mi ha risposto "Ovviamente la seconda, le prove sono le stesse, è coinvolto un laboratorio ufficiale per il ruolo di certificatore, la ricetta è recente e non vecchia di due anni ed è studiata per il nostro cliente". Poi ci ha pensato un po', silenzioso, e alla fine mi a detto "C...o, il CVT non si può applicare al calcestruzzo preconfezionato!!!".

Il giorno dopo ho chiamato un esperto di norme, che per i suoi vari ruoli istituzionali spesso si è occupato di questi problemi. Gli ho raccontato la storia, e dopo qualche domanda e confronto mi ha risposto "D'atronde, non è un caso che il calcestruzzo preconfezionato non abbia una norma armonizzata per la marcatura CE".

La non applicabilità della linea guida è comprovata anche rianalizzando il primo schema di certificazione e pensando che possa partire da una richiesta di un cliente.

Un'impresa chiede uno specifico calcestruzzo FRC per il cantiere perchè previsto dal progettista. Il produttore di calcestruzzo accetta la richiesta e sigla il contratto. Dopo un paio di mesi il cliente non può più aspettare, fa cambiare il progetto e quando a fine ciclo di certificazione il produttore ha ilCVT non ha più il cliente a cui fornirlo.

Il CVT c'è ma non c'è più il cliente

L'applicazione del CVT - ampliando l'orizzonte della nostra analisi - è possibile anche per soluzioni realizzate dai produttori di calcestruzzo preconfezionato. Ma hanno senso probabilmente più per produzioni continue di alcuni prodotti riservati a specifici cantieri di lunga durata. Per esempio capita sempre più spesso che alcuni prefabbircatori preferiscano affidare la produzione del calcestruzzo a un preconfezionatore piuttosto che farlo in casa. Ma occorre in ogni caso semplificare le procedure per accorciare i tempi.

Una soluzione potrebbe essere quella di inserire un transitorio. In attesa del completamento dell'iter di certificazione, dovrebbe essere consentita la produzione adottando la soluzione della certificazione di un laboratorio ufficiale. 

Mi rendo conto che il Ministero debba definire Linee Guida sugli FRC, mi rendo conto che si debbano definire requisiti prestazionali, ma la certificazione su un materiale prodotto da un preconfezionatore è, come recita l'articolo, impossibile. 

Sarebbe bene prima di scrivere tali prescrizioni, come il CVT, parlarne con le aziende, esperti, per immedesimarsi nella condizione di un mercato che non è quello di un produttore di elementi prefabbricati.

Nelle costruzioni il calcestruzzo è sempre accompagnato dall’impiego di ferri di armatura, che conferiscono al sistema composito la necessaria resistenza al taglio.

Questi ferri di armatura subiscono in genere alcuni processi di trasformazione prima di essere impiegati. Vi è una prima laminatura a caldo per creare le cosiddette vergelle, che poi sono nuovamente trattate (in genere a freddo) per imprimere una superficie nervata, quindi sono nuovamente lavorate per dare le forme previste dal progettista e per una parte saldate (ulteriore processo a caldo). Sono quindi trasportate su luogo d’uso, anche per distanze importanti.

Da diversi anni è in uso una soluzione che consente di sostituire per alcune applicazioni, in parte o in toto, le armature che chiamiamo tradizionali: l’uso di fibre. In sostanza si immettono nel calcestruzzo delle fibre (oggi disponibili in diversi materiali) che conferiscono al materiale quella tenacità che, a seconda del dosaggio, del materiale di costituzione, delle prestazioni attese, possono sostituire o eliminare le armature tradizionale. A livello

internazionale sono stati elaborati codici di calcolo per queste strutture e l’Italia rappresenta un’eccellenza in tale materia ingegneristica a livello internazionale.

Le fibre, a fine ciclo dell’opera, possono essere recuperate in fase di demolizione come avviene per le armature tradizionali, rispetto alle quali hanno però numerosi vantaggi in termini di sostenibilità:

Come dicevo non possono essere utilizzate ovunque ma il rischio è che le attuali regole ne impediscano l'uso in molti ambiti.

Per un futuro delle costruzioni sempre più sostenibile, per evitare una penalizzazione (ingiustificata) di una soluzione tecnica che è studiata e verificata da ormai trent'anni in tutto il mondo, auspico una urgente revisione delle Linee GUida che riguardano i CVT degli FRC, con una maggiore attenzione alla realtà, tenendo anche conto che il settore del calcestruzzo preconfezionato in questi anni ha fatto enormi passi sul piano dell'evoluzione del controllo dei processi.

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Ingegnere, Presidente della Casa Editrice IMREADY e direttore Responsabile di INGENIO

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