Benvenuti nel plant Abb di San Giovanni Valdarno, per scoprire come si produce una colonne di ricarica… - industria italiana

2022-12-29 12:31:18 By : Ms. Ella i

Costruire stazioni di ricarica per auto elettriche non è un lavoro per deboli di cuore. Potremmo riassumerlo così: si tratta di condensare tecnologie per la distribuzione elettrica di grande potenza e la relativa elettronica in un manufatto delle dimensioni di una pompa di benzina, il tutto gestito da un firmware dedicato. Poi lì dentro bisogna anche inserire un sistema di controllo che si occupi di dare istruzioni al guidatore, gestire il flusso dell’energia, dialogare con l’autovettura in carica, comunicare con la centrale remota di controllo, e gestire i pagamenti.

Mentre le stazioni di ricarica in corrente alternata (cosiddette a ricarica lenta) hanno potenza limitata, quando si parla di stazioni di ricarica in corrente continua (ricarica rapida) i valori di potenza arrivano fino a 350 kW e questo comporta una vera e propria sfida tecnologica. La fabbrica di Valdarno è il centro di sviluppo Abb per la tecnologia di ricarica in corrente continua e da qui escono prodotti destinati a tutti i mercati mondiali. Questi prodotti, insieme alle colonnine in corrente alternata, permettono ad Abb di offrire un portafoglio completo per la ricarica elettrica, unico per completezza e affidabilità.

Proprio per il fatto che queste stazioni sono destinate a tutti mercati, la sfida tecnologica si estende anche alle condizioni di utilizzo: bisogna infatti verificare che la stazione possa funzionare almeno una decina d’anni, con la pioggia e con il sole, al freddo di Rovaniemi o al caldo di Dubai. Ah, e ovviamente il funzionamento deve essere a prova di scemo e avvenire nella massima sicurezza per la stazione, per il veicolo e, soprattutto, per il guidatore.

Sembra complicato? Lo è, perché progettare e produrre un oggetto di questo tipo richiede competenze trasversali su svariati campi: gestione dell’elettricità, elettronica e sensoristica, sistemi digitali e programmazione, meccanica ed ergonomia; inoltre servono ottime capacità di ingegnerizzazione e industrializzazione, disponibilità di macchinari sofisticati per la realizzazione delle elettroniche e manodopera di alto livello per l’assemblaggio dei prodotti.

Abb, multinazionale svizzero-svedese fra i leader mondiali nei sistemi per la produzione e gestione dell’energia, ha trovato tutte queste competenze in Italia, e precisamente a San Giovanni Valdarno, dove è stato inaugurato lo scorso giugno uno stabilimento all’avanguardia interamente dedicato alla progettazione e produzione di stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Il sito produttivo è di Abb E-Mobility, divisione della multinazionale Abb dedicata alla mobilità elettrica, recentemente scorporata e trasformata in una Spa autonoma per meglio rispondere a un mercato che, secondo le previsioni di Fortune Business Insight, crescerà dai 17,6 miliardi di dollari del 2021 ai 111,9 miliardi del 2028, con un Cagr del 30,26%.

Lo stabilimento, frutto di un investimento di 30 milioni di dollari, è stato progettato secondo i migliori standard in fatto di sostenibilità ambientale, e copre 16.000 metri quadri su un’area totale di 45.000, occupando circa 500 dipendenti. La sua mission è di produrre le stazioni di ricarica Abb in corrente continua per l’intero mercato globale, aumentando la capacità produttiva dell’azienda di circa 10.000 stazioni/anno.

Ma l’aspetto più interessante è un altro: 3.200 metri quadri sono dedicati all’area ricerca&sviluppo, ingegnerizzazione, prototipazione e test. Ovvero, non c’è solo la produzione: le stazioni di ricarica vengono progettate qui, software e hardware, anche collaborando con gli altri centri di R&D di Abb, e qui i progetti vengono trasformati in oggetti realmente costruibili sulle linee di montaggio, e capaci di superare tutti gli stringenti test di sicurezza e affidabilità di funzionamento. A questi compiti si dedicano circa 70 ingegneri. Industria Italiana ha visitato l’impianto in occasione dell’inaugurazione ufficiale, alla presenza delle autorità, con l’obiettivo di raccontarvi non solo come si producono le più sofisticate colonnine di ricarica, ma anche come funziona lo stabilimento, i suoi sistemi di automazione, la sua organizzazione, e la connessione e interazione fra i vari reparti. Ecco cosa abbiamo visto.

Girando per l’Europa, capita sempre più spesso di vedere fabbriche di apparecchiature complesse che sono, in pratica, poco più che siti di assemblaggio: sulle linee vengono semplicemente montati sottoinsiemi preassemblati altrove, spesso in Cina. Non è questo il caso dello stabilimento di San Giovanni Valdarno: qui non solo si progetta e si ingegnerizza ogni stazione, ma poi ogni prodotto viene costruito partendo non da blocchi preassemblati ma dai singoli componenti elettronici, elettrici e meccanici. Tanto che, passando da un reparto all’altro, si ha la sensazione di trovarsi in fabbriche diverse.

E di fatto è così, perché ogni settore richiede metodi di lavorazione, tecnologie, e approcci diversi, in conseguenza del fatto che le stazioni di ricarica sono oggetti complessi che contengono parti meccaniche (chassis, carrozzeria), parti elettriche (i circuiti dove passa il flusso di corrente vero e proprio) e parti elettroniche, analogiche e digitali (tutto il sistema di controllo dei flussi di corrente, il blocco di controllo del macchinario e di interfacciamento con l’utente, che è di fatto un computer in grado di lavorare in ogni condizione climatica).

Visitando il reparto dove viene prodotta la parte digitale delle stazioni sembra di trovarsi in una fabbrica di computer, di quelle che in Europa non ci sono più. Da fuori arrivano i circuiti stampati e i componenti elettronici, e le macchine automatiche si occupano di montare i componenti e saldarli sulle schede. «La produzione avviene su due linee gemelle di macchine automatiche – spiega Stefano Chieregato, direttore di stabilimento, che sarà la nostra guida durante la visita- ed è strutturata attualmente in 6 giorni di produzione la settimana, su tre turni di lavoro». Il reparto è in grado di produrre migliaia di schede elettroniche a settimana, con un’alta variabilità. «Nei settori automotive o consumer è normale avere run di produzione di 2.000 schede prima di un cambio, qui invece capita di produrre lotti di 70 schede».

I continui cambi di formato sono necessari per assicurare ai reparti successivi la disponibilità di schede “just in time”, visto che nello stabilimento si producono parecchi modelli diversi di stazioni, su più linee di montaggio parallele.

Ovviamente, per gestire questi continui cambi di formato serve una logistica impeccabile e macchinari capaci di gestire diversi formati senza richiedere lunghi fermi di produzione a ogni cambio.

Ogni scheda inizia quindi il suo viaggio “nuda”, e viene prima trattata dal macchinario per la saldatura dei componenti smt, surface mount technology, (che si saldano sulla superficie ramata della scheda), montati i quali avviene una prima ispezione visiva automatica. Le schede che non superano il test automatico vengono controllate e corrette da operatori specializzati. A questo punto, le schede semilavorate entrano in una seconda zona dove si provvede a posizionare i componenti più grandi, quelli che hanno bisogno di essere inseriti in appositi fori metallizzati della scheda. Il posizionamento di questi componenti è fatto da operatori specializzati, assistiti nel loro lavoro da sistemi intelligenti per il prelievo e il posizionamento dei pezzi.

A posizionamento completato, la scheda entra nel macchinario che esegue fisicamente la saldatura. Viene usato il metodo “a onda”, e in pratica la scheda viene passata sopra il materiale saldante fuso in modo che esso riempia i fori per capillarità, restituendo all’uscita del nastro trasportatore la scheda con tutti i componenti saldati. Una volta passato un controllo a raggi X della qualità delle saldature, ogni scheda entra nella zona di test, viene collaudata (anche se si tratta di schede destinate a prototipi), e infine passa a una sezione di “coating” nella quale i componenti più sensibili vengono ricoperti per meglio proteggerli da umidità e altri fattori critici.

Alla fine del percorso, un magazzino di disaccoppiamento automatico fa da “buffer” fra il reparto di produzione schede e la zona di system integration, ovvero il reparto di assemblaggio delle stazioni. E qui si apprezza la versatilità di questo settore della fabbrica: nel magazzino, accanto a schede simili a quelle che troviamo all’interno di edge server e computer fault tolerant, troviamo piastre destinate a circuiti di potenza capaci di veicolare anche 50 kW di potenza. È da sottolineare che proprio la Toscana è, storicamente, un buon bacino di competenze sui temi della saldatura di componenti elettronici, sia di segnale, sia di potenza.

La parte di assemblaggio occupa buona parte del piano terreno dello stabilimento, ed è organizzata per linee parallele, ognuna dedicata a un diverso modello di stazione di ricarica. Tutti i movimenti avvengono nella stessa direzione: da un lato entrano le componenti in arrivo dai magazzini, dall’altro escono le stazioni pronte per i test e i collaudi finali. Si parte quindi costruendo i vari sub-assembly, per poi passare mano a mano alle varie postazioni, presidiate da operatori che fisicamente integrano i sub-assembly e li collegano inserendo i cavi di potenza e di segnale, oltre alle varie componenti elettriche ed elettroniche necessarie a completare l’apparecchio.

«Le stazioni degli operatori sono dotate di quelli che chiamiamo “cacciaviti intelligenti” – afferma Chieregato – nel senso che sono collegati digitalmente alla procedura di assemblaggio memorizzata dal sistema di gestione della produzione, e quindi sanno con quanti giri e con quale coppia serrare ogni vite. E il programma non permette di passare alle postazioni successive se tutte le viti non sono state inserite correttamente. Inoltre, tutti i dati di lavorazione sono conservati, e quindi possiamo in qualsiasi momento risalire alla “storia” di ogni singolo charger prodotto». Insomma, a differenza di quanto succede nel reparto di produzione delle schede elettroniche, qui la componente manuale è molto presente, sia per l’elevato numero di modelli, anche diversissimi fra loro per tipologia e potenza (dalla taglia più diffusa, 50 kW, fino alla stazione di ricarica Terra 360 da 360 kW), costituito da componenti meccaniche, elettriche ed elettroniche, il cui montaggio è difficilmente automatizzabile. In ogni caso, la possibilità di errori umani è ridotta al minimo grazie all’uso di strumentazione connessa al sistema digitale di controllo. Inoltre, sempre per ridurre la possibilità di errori, ma anche per ottimizzare la logistica, a ogni postazione le componenti da montare arrivano confezionate in una sorta di “kit” di montaggio, che contiene solo le componenti necessarie e già nel giusto numero.

Finito l’assemblaggio, è il momento di mettere insieme hardware e software per collaudare la stazione, prima di poterla spedire al cliente. «È la fase di “end of line testing”, nella quale andiamo a verificare che tutti i nostri prodotti siano rispondenti ai requisiti a livello funzionale e di sicurezza di utilizzo, per poter essere consegnati al cliente». I test vengono condotti grazie a un sistema computerizzato che contiene il “digital twin” del prodotto, e può collaudare ogni singolo sub-assembly presente nella colonnina. Finita questa fase di “precollaudo”, la stazione viene portata in una zona dove viene collegata a un “Ev Simulator“, in pratica una control box che fa credere alla colonnina di dialogare con una vettura da ricaricare. «Per validare la produzione, svolgiamo ogni giorno circa 400 di questi test di ricarica. Per evitare di disperdere grandi quantità di elettricità, utilizziamo principalmente dei carichi elettronici, che ci permettono di rigenerare la potenza e di reimmetterla nel circuito», sottolinea Chieregato. Superato il collaudo, l’ultima fase di lavorazione è quella della finitura: vengono aggiunti gli sticker del cliente e controllato l’aspetto estetico, prima di procedere al confezionamento e alla spedizione.

Il magazzino è un po’ il nucleo logistico della fabbrica. Quando lo abbiamo visitato, era in fase di completamento l’installazione del sistema di magazzino automatico robotizzato destinato a stoccare i prodotti finiti, con una capacità di circa 3500/4000 pallet. Pienamente operative invece le altre due sezioni, il “miniload” dove vengono ricevuti e immagazzinati i componenti di base, e il magazzino di disaccoppiamento dove transitano le schede appena costruite e destinate al reparto di assemblaggio. Il sistema di gestione permette una tracciabilità totale, dai componenti in ingresso fino al prodotto finito in uscita.

Accanto alle linee di assemblaggio dei prodotti finiti, c’è un altro reparto di assemblaggio più piccolo, chiamato Npi. Qui è dove vengono assemblati per la prima volta i nuovi prodotti usciti dalle menti dei progettisti del reparto R&D. «Qui è dove prendono forma tutte le nostre prototipazioni e preserie», spiega Chieregato. Ed è anche il luogo dove si concretizza il circolo virtuoso fra R&D, ingegneria di produzione e controllo qualità, nella messa a punto sia del prodotto, sia del processo produttivo». Detto in parole povere, trasformare un progetto Cad in un oggetto concreto richiede una buona quantità di lavoro e di know-how specifico. Ancora di più se si deve trovare il modo più efficiente per costruirlo in serie. In quest’area lavora personale specializzato con lunga esperienza e predisposizione al problem solving, il cui compito è trovare le soluzioni migliori per ottenere le prestazioni richieste e contemporaneamente i modi migliori per produrre l’apparecchio. Non a caso, il reparto è vicino anche fisicamente all’area di R&D, con i cui progettisti interagiscono costantemente.

«In questo reparto arrivano anche i progetti di altri centri di ricerca e sviluppo di Abb – puntualizza Chieregato – e possiamo dire che è qui che diamo il nostro valore aggiunto, di industrializzatori e di standardizzatori del prodotto. Qui la produzione è organizzata su isole, all’interno delle quali personale esperto si confronta con gli ingegneri dell’R&D, di processo e del controllo di qualità per mettere a punto il prodotto in modo che sia scalabile e producibile in alti volumi sulla linea di final assembly». All’Npi vengono anche messe a punto le tecnologie di collaudo, per cui è qui che i primi esemplari di ogni macchina vengono accesi e testati al massimo delle funzionalità.

Anche il laboratorio R&D era, al momento della visita, in fase di completamento. Ma di fatto le strutture sono già operative. Il reparto è diviso in due sezioni, con i 70 progettisti che lavorano al primo piano, dove vengono messe a punto anche le schede elettroniche e i relativi firmware e software, e una sezione di laboratorio, più “operativa”, posta al piano terra, dove si “torturano” i prototipi.

«Qui abbiamo in pratica quattro grandi aree di test – ci spiega uno degli uomini del reparto R&D – la prima è la parte termica, dove possiamo testare tutti i nostri prototipi, anche quelli high power – abbiamo camere da 1,2 MW – in diversi range di temperatura. Per esempio da -70 a +100 gradi, oppure da -100 a +100 con variazioni molto rapide in quanto usiamo azoto liquido per il raffreddamento». La parte termica è costituita da una serie di “gabbie” trasparenti, poste all’ingresso del laboratorio, dove vengono collocati i prototipi da verificare. Le “gabbie” sono costruite per garantire la massima sicurezza e vengono bloccate automaticamente per non permettere l’ingresso di personale durante i test. Anche qui, per i test vengono usati carichi elettronici, anche perché le potenze utilizzate sono ancora più alte che nel reparto Npi. Tra l’altro, l’impianto elettrico del laboratorio è davvero impressionante: la linea principale, che arriva direttamente da una cabina di media tensione, porta 2,5 MW in continua. Altre linee poi sono connesse a delle apparecchiature in grado di riprodurre esattamente le caratteristiche dell’alimentazione elettrica di decine di Paesi diversi, per consentire di eseguire test in condizioni identiche a quelle nelle quali la colonnina si troverà a operare. Vengono riprodotti voltaggi, frequenze, e addirittura i tipici disturbi di rete, con potenze fino a 600 kWatt. Inoltre, grazie all’uso generalizzato di carichi elettronici, l’energia effettivamente consumata è solo quella delle perdite. In pratica, circa l’80/90% dell’energia usata durante i test viene riutilizzata.

Un altro fiore all’occhiello del laboratorio è la seconda area, la sezione Emc: Electro magnetic compliance, che è dotata di una propria camera anecoica. Ne esistono pochissime, e in Europa si possono contare sulle dita di una mano. Chi ha pratica di test in campo audio, sa che la camera anecoica è una stanza in cui tutte le pareti sono trattate in modo da assorbire completamente i suoni, isolando la stanza dai rumori esterni e impedendo le riflessioni per quelli prodotti all’interno. La camera anecoica di Abb funziona sullo stesso principio, ma blocca anche tutte le emissioni elettromagnetiche. Per intenderci, una volta chiusa, al suo interno non arrivano onde radio, e infatti il campo del cellulare è azzerato. In questo ambiente neutro, grazie a una sensibile antenna direzionale, è possibile captare le onde elettromagnetiche emesse da ogni stazione di ricarica posta all’interno, fino a una potenza di 500 kW, in modo da verificarne la compliance ai regolamenti internazionali sulle emissioni (e ai livelli, ancora più stringenti, dei protocolli interni Abb) e da scoprire eventuali anomalie. L’investimento nella camera anecoica si è rivelato estremamente azzeccato: prima, per fare i test di compatibilità Emc, Abb doveva mandare le macchine a laboratori esterni  e il procedimento richiedeva in media 6 settimane, con costi elevati per movimentare i prodotti. Con la camera anecoica dello stabilimento, tutto il processo di validazione richiede oggi una settimana circa, senza alcuno spostamento di prodotti e persone.

La terza zona del laboratorio è quella dove le stazioni di ricarica vengono provate collegandole a veri veicoli. In questa zona, dotata di passo carraio, possono entrare auto, camion e persino autobus lunghi fino a 12 metri, che potranno essere ricaricati con una potenza disponibile fino a 1,6 MWatt. Mentre eravamo in visita, la piazzola era occupata da un grosso camion compattatore di rifiuti, prodotto dalla Volvo – azienda che sta collaborando con Abb sul fronte della ricarica di veicoli pesanti. Il connettore che si collega al camion sopporta un flusso di qualche centinaio di Ampere, necessari per ricaricare rapidamente veicoli commerciali che dovrebbero disporre di un’autonomia, a seconda della tipologia, fra i 600 e gli 800 chilometri.

Infine, per raggiungere la quarta zona bisogna spostarsi fuori dal fabbricato: qui, sotto una tettoria, trovano posto 9 celle climatiche, usate per sottoporre a test finale di durata in condizioni estreme un esemplare di ogni modello di unità di ricarica prodotto nello stabilimento, allo scopo di assicurarsi che sia in grado di funzionare alla perfezione almeno per tutto il periodo di garanzia, che è di 10 anni. «Per fare questo, facciamo funzionare l’esemplare sotto test nella cella per circa un anno, un anno e mezzo, eseguendo un test simulato di vita accelerata che riproduce in un anno l’utilizzo che normalmente avviene in 10, grazie a specifici algoritmi predittivi di compressione del tempo». Fondamentalmente, quello che permette di “comprimere il tempo” è l’aumento della temperatura nella camera, che porta la stazione a funzionare a temperature che non raggiungerà mai nell’uso normale, e che sono fortemente usuranti per la componentistica elettronica ed elettrica. Per chi c’è stato, le celle climatiche ricordano visivamente le celle di punizione sotterranee di Alcatraz, ma senza nemmeno la feritoia sulla porta.

La tettoia delle celle climatiche confina in pratica con il parcheggio dello stabilimento, che è abbastanza atipico: la maggior parte dei posti auto, infatti, è dotata di presa di ricarica per veicoli elettrici (al momento sono 82, diventeranno 191 entro fine anno). Diverse le tipologie presenti, comprese alcune di tipo Fast e Ultrafast, nonché una per la ricarica di camion e autobus. C’è anche una postazione equipaggiata con la nuova top di gamma, la colonnina Terra 360 capace di caricare fino a 4 veicoli contemporaneamente.

Parte dell’energia utilizzata arriva dall’impianto di pannelli solari da 720 MWh/anno che copre il tetto della fabbrica e le tettoie del parcheggio (che consente di ridurre le emissioni di CO₂ di 338 tonnellate all’anno), il resto è prodotta da fonti rinnovabili certificate.

Infine, gli impianti dello stabilimento sono gestiti utilizzando la soluzione Abb Ability Energy and Asset Manager, una piattaforma cloud-based che monitora e gestisce efficientemente gli oltre 9.000 dispositivi installati in tutto l’impianto (tra cui regolazione termica, illuminazione, unità trattamento aria) consentendo di risparmiare il 60% di energia rispetto alla gestione tradizionale. Grazie a questa attenzione per la sostenibilità (ribadita dal sistema di riciclo delle acque piovane) e per il benessere delle persone che nello stabilimento ci lavorano, l’impianto di San Giovanni Valdarno è candidato per essere certificato Leed (Leadership in Energy and Environmental Design). La certificazione Leed è uno standard indipendente, riconosciuto a livello mondiale, per la progettazione, la costruzione e la gestione di edifici eco-compatibili, e lo stabile di Valdarno si prevede otterrà il livello Gold.

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 12 settembre 2022)

Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.

Il tuo indirizzo e-mail viene utilizzato solo per inviarti la nostra newsletter e informazioni, anche commerciali, sulle attività di Industria Italiana, come definito nella Privacy Policy. Puoi sempre utilizzare il link di cancellazione incluso nella newsletter. Il tuo indirizzo email viene utilizzato solo per le attività di Industria Italiana e non verrà né divulgato né ceduto a terzi, per nessuna ragione.